Giornata frenetica, il 20 maggio 2025, per quanto riguarda la nuova indagine relativa al delitto di Chiara Poggi, commesso a Garlasco il 13 agosto 2007 e per il quale è stato condannato in via definitiva il fidanzato della vittima, Alberto Stasi. Attualmente indagato, Andrea Sempio, uno degli amici del fratello della vittima.
Mancata comparizione
La convocazione era fissata per le ore 14. Andrea Sempio non si è presentato ai magistrati che intendevano interrogalo nell’ambito del nuovo corso dell’inchiesta. L’interrogatorio avrebbe dovuto avere luogo contemporaneamente a quelli di Alberto Stasi e di Marco Poggi, fratello di Chiara, quest’ultimo atteso presso la Procura di Venezia, dove vive. Entrambi regolarmente comparsi.
L’assenza di Sempio sarebbe da attribuire a un errore procedurale dei magistrati che lo hanno convocato. “L’invito da parte della Procura era carente dell’avvertimento necessario ex art. 375 comma 2 lettera D del codice di procedura penale”, ha spiegato l’avvocata dell’indagato, Angela Taccia. “Praticamente in questo invito non c’era l’avvertimento previsto invece per legge: siccome manca uno dei requisiti del contenuto dell’atto (cioè dell’invito), abbiamo chiesto una nullità. Sempio poteva così non presentarsi.
In altre parole, l’atto è viziato da un tipo di nullità prevista dal codice. Per questo Sempio aveva il diritto di non presentarsi.”
Dunque, nell’atto sarebbe stato omesso il prescritto “avvertimento che il pubblico ministero potrà disporre a norma dell’articolo 132 l’accompagnamento coattivo in caso di mancata presentazione senza che sia stato addotto legittimo impedimento.” (375 comma 2 lettera D, c.p.p.). Nella prospettazione della difesa, atto nullo per mancanza di un suo elemento costitutivo.
Poco prima dell’ora fissata per l’interrogatorio, gli avvocati di Sempio hanno depositato una memoria in proposito.
Quali saranno ora gli sviluppi? La Procura, spiega l’avvocata Taccia, potrà decidere di riformulare l’invito in modo corretto, “oppure di non voler sentire più Andrea Sempio. Staremo a vedere.”
“Abbiamo deciso ieri con Andrea di fare così”, ha dichiarato l’avvocato Massino Lovati (qui l’intervista di Diogene Notizie a Lovati) che con la collega Taccia difende Andrea Sempio. “Ora ci attendiamo una nuova convocazione, con l’avvertimento previsto dal codice e che manca in quello ricevuto. Se poi non dovessimo presentarci ancora”, c’è sempre la possibilità che il Gip disponga “l’accompagnamento coattivo”.
L’impronta 33
A poche ore dalla mancata comparizione di Andrea Sempio dinanzi ai Pm, i giornali registrano un altro, significativo sviluppo.
A quanto risulterebbe dagli ultimi accertamenti scientifici disposti dalla Procura, sarebbe attribuibile proprio a Sempio un’impronta palmare rivenuta accanto al cadavere della giovane vittima. La notizia è apparsa sui profili social del Tg1 ed è stata ripresa da varie testate.
L’impronta, oggi riesaminata – in fotografia – da una nuova consulenza dattiloscopica, è stata a suo tempo rilevata sul muro delle scale che conducono alla taverna della villetta in cui è avvenuto il delitto, in prossimità appunto del corpo senza vita di Chiara. In sede di sopralluogo è stata classificata con il numero 33. Nell’originaria relazione del Ris di Parma si legge che “parte della traccia completamente priva di creste potenzialmente utili per gli accertamenti dattiloscopici è stata asportata dal muro grattando l’intonaco con un bisturi sterile.”
Si è potuto escludere la presenza, nell’impronta, di tracce di sangue: “La traccia è stata testata con il combur test che ha fornito esito dubbio e con l’Obti test (esame più affidabile nel rintracciare appunto residui ematici, ndr) che ha fornito esito negativo.”
La relazione del Ris passava in rassegna sistematicamente tutte le impronte individuate lungo il muro della scala, oltre venti (numerazione, da 31 a 56). Quattro risultavano attribuibili a un Carabiniere; una a Marco Poggi; e la traccia 33, oggi riconsiderata, veniva ritenuta un’impronta palmare di “nessuna” utilità”. Queste, appunto, le conclusioni cui si era pervenuti nel 2007, a ridosso dell’evento.
“È logico-fattuale che l’impronta sulla parete delle scale appartenga all’assassino”, hanno valutato, a proposito di quel “contatto papillare numero 33”, i Carabinieri del Nucleo investigativo di Milano in un’annotazione risalente a luglio 2020.
Oggi, all’esito della nuova consulenza dattiloscopica di cui s’è detto, l’impronta n. 33 risulterebbe compatibile con quelle di Andrea Sempio.
A rigor di termini, l’impronta potrebbe risalire a prima del delitto. Tanto più che, osserva l’avvocata Angela Taccia, l’attuale indagato, amico storico del fratello della ventiseienne uccisa, “ha frequentato ogni angolo della casa, tranne la camera da letto dei genitori di Chiara e di Marco”, compresa, dunque, la taverna e le scale in fondo alle quali è stato rivenuto il corpo.
L’avvocata Taccia sottolinea anche che “quella della Procura è una mera consulenza tecnica di parte, non una perizia. È solo ciò che dice una parte, senza averlo verificato in contraddittorio.”
“L’impronta 33 evidenziata mediante l’impiego della ninidrina, è stata lasciata dal palmo destro di Andrea Sempio per la corrispondenza di 15 minuzie dattiloscopiche”, ribadisce in una nota il procuratore di Pavia, Fabio Napoleone, conferendo ufficialità a quanto emerso. La traccia, precisa, è stata analizzata “alla luce della nuove potenzialità tecniche a disposizione, sia hardware che software.”
“Stiamo parlando di un’impronta non dichiarata utile, che non è nel fascicolo del dibattimento”, precisa il genetista Marzio Capra, consulente della famiglia Poggi. “Se la riconducibilità a Sempio dell’impronta viene veicolata ora come un risultato scientifico, quello precedente cos’era? Evidentemente non viene più considerato un esito scientifico.” E allora, riflette il genetista “bisognerebbe accusare di ‘falso in perizia’ chi ha dichiarato all’epoca che alcune impronte non erano utili.”
Gli accertamenti dei Ris, ricorda anche Capra, sono stati a suo tempo effettuati “nel pieno contraddittorio delle parti” mentre, finora, nel caso dell’impronta 33, sono state svolte solo da una parte, dalla Procura.

In ogni caso, la Suprema Corte di Cassazione, ritiene che, in tema di prova dattiloscopica e identificazione dell’autore del reato, prova certa dell’identità soggettiva – non degradabile a mero indizio – sia costituita dall’individuazione di almeno 16-17 punti di corrispondenza tra l’impronta repertata sulla scena del crimine e quella dell’imputato (Cass. Pen. n. 24421/2020). Il giudizio di identità tra le impronte, spiega la Corte, non si basa sulla mera conformità di ordine generale dell’andamento delle linee papillari, che può essere influenzata da fattori ereditari, ma sulla puntuale individuazione di specifiche peculiarità diverse da individuo a individuo. La classificazione delle minuzie in semplici o composite non incide sul valore probatorio dell’accertamento, rilevando unicamente il numero complessivo delle corrispondenze rinvenute ai fini dell’identificazione certa del soggetto.
L’identificazione dattiloscopica è ritenuta attendibile anche se effettuata su un solo dito, purché si evidenzino, anche in questo caso, almeno sedici punti caratteristici uguali per forma e posizione (Cass. pen. 17366/2020). La corrispondenza dattiloscopica di più punti (ma in numero inferiore a 16) può assumere maggiore o minore valenza indiziaria a seconda della natura dei punti di corrispondenza (semplici o complessi) o dei contesti di tempo e di luogo in cui la traccia ignota è stata lasciata, in riferimento ai potenziali soggetti cui riferirla (Cass. Pen. n. 17424/ 2011)
Le rivelazioni del supertestimone
Nelle ore successive si sono registrati anche ulteriori sviluppi. Le Iene ne avevano parlato alcune settimane fa. Ora tornano agli onori della cronaca le dichiarazioni che un cosiddetto “supertestimone” ha rilasciato a un giornalista della trasmissione di Italia 1. E che inizialmente non erano state mandate in onda ma consegnate alla Procura. Nella puntata del 20 maggio 2025, la trasmissione torna a trattare la vicenda di Garlasco e svela finalmente il contenuto di tali dichiarazioni.
“Carlo”
Il menzionato “supertestimone”, cui viene assegnato il nome fittizio di “Carlo”, ha riferito che, pochi giorni dopo il delitto, avrebbe incontrato in ospedale una donna anziana, che abitava a Tromello, vicino alla casa della nonna materna delle gemelle Paola e Stefania Cappa, cugine di Chiara Poggi. La signora gli avrebbe confidato di aver visto, verso le ore 13 del 13 agosto 2007, Stefania Cappa che si accingeva a entrare nell’abitazione della nonna. Aveva con sé, secondo il racconto, un pesante borsone. Un fatto insolito, da momento che le cugine non erano mai state viste lì. La giovane, identificata come Stefania perché in quel periodo Paola si muoveva con le stampelle, appariva talmente agitata da non riuscire “a infilare la chiave nella porta”.
Una volta entrata in casa, ne sarebbe poi uscita “senza la borsa”. La vicina avrebbe inoltre udito il rumore di un pesante oggetto buttato nel fosso nei pressi dell’abitazione.
“Dopo una settimana”, ha proseguito il “supertestimone”, “l’avvocato dei Poggi mi ha chiamato”, per chiedergli di aiutarlo nel caso (a proposito: qual è l’occupazione del “supertestimone” e perché un avvocato avrebbe dovuto chiedergli di collaborare con lui nell’espletamento del mandato conferitogli?). Quando “Carlo” ha rivelato al legale di avere notizie relative alle sorelle Cappa, questi gli avrebbe detto: “C’è già un’indagine in corso su Stasi e non si può sovrapporre un’altra pista.”
“Mi ha bloccato”, ha aggiunto “Carlo”. “Siccome lui è amico della famiglia Cappa, probabilmente non ha voluto sentire niente per non crearsi problemi. La cosa che mi dispiace è che avevo delle cose da dire ma non c’è stata volontà di ascoltarle.”
All’epoca dei fatti, continua il racconto, l’uomo ha trascritto su un taccuino quanto appreso dalle donne anziane con cui aveva parlato, ormai decedute e possiede ancora gli appunti presi nella circostanza. Ed ha precisato di non aver riferito finora quanto a sua conoscenza perché qualcuno “in alto” gli avrebbe consigliato di mantenere il silenzio: “saresti perseguito, dopo. Magari ti chiamano e dicono: ‘Tu come fai a sapere queste cose?’”
Per non finire nei guai
La puntata delle Iene ha riportato poi la testimonianza della madre di Andrea Sempio. Secondo la donna, una ragazza che abitava nella stessa via di Chiara, avrebbe raccontato ai colleghi di lavoro che, la domenica precedente il delitto, la vittima e la cugina avevano litigato. La madre di Sempio ha confermato che a Garlasco sarebbe assai diffusa l’attitudine al pettegolezzo, ma che tutti “quando c’è da dire le cose come stanno, non lo dicono.” “Tante cose non tornano e la gente del paese le ha notate tutte. Tante persone non sono state prese in considerazione”, ha aggiunto.
Un’altra donna intervistata, cui è stato garantito l’anonimato, ha ribadito il medesimo concetto, aggiungendo che in paese le persone – lei compresa – hanno paura di finire nei guai raccontando ciò che hanno visto. “Qui si parla di volontà, non di errori”, ha affermato un altro abitante interpellato.
“Carabinieri, Polizia, detective…”
La trasmissione di Italia 1 ha preso infine in esame i messaggi vocali che Paola Cappa avrebbe recentemente inviato a Francesco Chiesa Soprani, ex manager dello spettacolo ed ex amico della stessa. I due si sarebbero conosciuti dopo l’omicidio, per motivi lavorativi, perdendosi poi di vista e ricominciando a sentirsi pochi giorni prima della riapertura delle indagini e dell’iscrizione di Sempio nel registro degli indagati. In seguito, si legge su Open, avrebbero però litigato.
Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia che Paola avrebbe inviato all’amico il messaggio: “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”. Nel materiale fornito alle Iene, non compare una frase formulata in questi termini ma, in un messaggio, Paola Cappa afferma: “Carabinieri, Polizia, detective avevano chiesto a mia sorella (Stefania, ndr) di aiutarli a incastrare Stasi.”
E aggiunge: “Quindi, le avevano chiesto di fare un incontro incrociato per capire cosa avrebbe detto Stasi.” Un confronto avvenuto nella caserma dei Carabinieri quattro giorni dopo il delitto, cui i mass media non hanno mancato di riservare ampio risalto.
A proposito della sorella, Paola riferisce che, a suo dire, da quando si riparla dell’omicidio di Chiara Poggi, “sta malissimo, è impazzita”, “Oggi metteva giù il telefono a tutti”, “È andata fuori di testa.
Altro messaggio vocale di Paola Cappa: “Guarda io non ho mai aperto bocca, però arriverà il giorno che la apro. Voglio essere pagata fior di milioni… però dirò tutto, tutto, tutto.”
Così, nel materiale reso pubblico dalle Iene.
Una nuova testimone?
Una donna di quarantotto anni ha letto recentemente sul giornale una dichiarazione di Stefania Cappa, che riferiva di aver avuto “un ottimo rapporto” con la cugina Chiara. A quanto riporta l’Ansa, la quarantottenne ha quindi deciso di presentarsi ai magistrati impegnati nell’indagine per rendere noto di aver ricevuto in passato una confidenza proprio da Stefania, che le avrebbe detto, al contrario, “di non essere affezionata alla cugina Chiara Poggi, anzi di non avere particolare simpatia nei suoi confronti.”
“Si avvertiva dell’invidia o del rancore verso la cugina”, ha proseguito la donna, “le stava antipatica. Diceva: ‘Adesso che è morta tutti a dire che è buona, brava, bella. Non è buona e non è bella’, aggiungendo altre parole offensive.”
Dichiarazioni che la donna ha messo per iscritto e depositato in Procura tramite il suo avvocato, Stefano Benvenuto.
Secondo il racconto della testimone, poco dopo l’omicidio di Chiara, osservando i giornalisti davanti alla sua lapide, la cugina le avrebbe detto: “Loro mi devono vedere che vado al cimitero.”
Resta ovviamente da valutare l’effettiva attendibilità delle dichiarazioni in questione. L’indagine continua.


