Un piattino di carta, due vaschette vuote di yogurt “Fruttolo” con annessa plastica della confezione, un contenitore vuoto di EstaThé con cannuccia, una scatola vuota di biscotti e un sacchetto contenente dei cereali. Sono i reperti della spazzatura rivenuta presso la villetta di Garlasco dove, il 13 agosto 2007, è stata uccisa Chiara Poggi e che, prelevati ma non esaminati dalla polizia scientifica all’epoca del delitto, costituiscono oggetto di analisi, insieme ad altro materiale, nel corso dell’incidente probatorio attualmente in fase di svolgimento.
Inizia l’incidente probatorio
Ma andiamo con ordine. Siamo in una fase delicata della nuova indagine sull’omicidio, per il quale è stato condannato in via definitiva il fidanzato di Chiara, Alberto Stasi, ed è attualmente indagato un amico del fratello della vittima, Andrea Sempio.
Il 17 giugno scorso, nei locali della Questura di Milano, si è tenuta la prima udienza del predetto incidente probatorio, che vedrà passare in rassegna, da parte dei criminalisti nominati dal Gip e dalle parti private, le tracce materiali della scena del crimine che, a distanza di tanti anni, è stato possibile recuperare.
I periti nominati dal Gip Daniela Garlaschelli per procedere agli accertamenti irripetibili, sono Denise Albani e Domenico Marchigiani. Con loro, oltre ai legali, i consulenti dei Pm, Carlo Previderè e Pierangela Grignani e della difesa di Sempio, Luciano Garofano, già comandante del Ris di Parma, e Luigi Bisogno, ex ispettore superiore della Polizia. La difesa di Alberto Stasi si avvale di Ugo Ricci e Oscar Ghizzoni; i genitori e il fratello di Chiara Poggi sono assistiti da Marzio Capra, Dario Redaelli e Calogero Biondi.
Nel corso del primo incontro, si è proceduto ad aprire due scatoloni contenenti il materiale, a ricostruire la catena di custodia dei reperti, a fissare una sorta di tabella di marcia degli accertamenti da espletare in contraddittorio. Il Gip ha assegnato termine di novanta giorni per il deposito dell’elaborato peritale, che verrà poi discusso all’udienza 24 ottobre prossimo.
Tra gli elementi oggetto di esame, oltre alla predetta spazzatura, l’impronta n. 10, di cui molto si è parlato in queste settimane, recuperata il 17 agosto 2007 nella parte interna della porta d’ingresso di casa Poggi. All’epoca era stata ritenuta “non giuridicamente utile”. Secondo i Carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, si tratterebbe della traccia di una mano forse sporca di “sangue (della vittima o di altri)” o “di altra sostanza” che, all’epoca del processo ad Alberto Stasi, i consulenti dell’accusa non sono riusciti ad attribuire ad alcun soggetto.
Manca invece l’altrettanto nota impronta n. 33, slatentizzata sul muro della scala che, in casa Poggi, conduce alla taverna e dove è stato rivenuto il corpo senza vita di Chiara. La Procura ritiene di poterla attribuire ad Andrea Sempio. Nel corso delle attività di rilevamento, nel 2007, è stata prelevata mediante asportazione dell’intonaco su cui era impressa: il reperto non risulta più disponibile e si potrà effettuare una valutazione dell’impronta solo attraverso la fotografia che la riproduce.
Niente sangue
Nel corso della seconda fase delle operazioni dell’incidente probatorio, tenutasi il 19 giugno, ci si è tra l’altro concentrati sui fogli di acetato contenenti impronte digitali da analizzare: ne sarebbero stati esaminati trenta su trentaquattro, constatando l’assenza, in esse, di tracce di sangue. Lo si è potuto appurare tramite l’esame con l’Obti test, il metodo più affidabile per verificare appunto la presenza, in un reperto, di sangue umano.
Privi di impronte di sangue anche i già citati oggetti rinvenuti nella spazzatura, nonché l’impronta n. 10. I lavori sono stati rallentati da un black-out occorso nella zona di Milano in cui si trova la Questura.
Luciano Garofano, ex comandante del Ris, oggi consulente della difesa di Sempio, ha riferito che i reperti sequestrati nella villetta risultano in “buone condizioni”.
“Sono reperti che hanno diciotto anni e daranno le risposte che possono dare”, ha commentato l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi.
Gli stessi reperti verranno poi sottoposti a ulteriori approfondimenti, tesi alla ricerca di impronte e Dna.
“Abbiamo cominciato e terminato ad analizzare i reperti trovati nella spazzatura e nel salottino. Sono stati fatti tutti i campionamenti e la ricerca del Dna si svilupperà nei successivi giorni”, ha spiegato Marzio Capra, ex ufficiale del Ris. “È stata fatta una ricerca veloce e superficiale per vedere se vi erano delle impronte evidenti a occhio nudo alle luci forensi. Perché in quel caso bisognava avvisare il giudice per eventuali integrazioni dell’incidente probatorio, che è stato richiesto e autorizzato esclusivamente per il Dna.”
“Non sono state osservate delle cose particolari”, ha aggiunto Capra. “Il grosso problema che si è palesato è che questi reperti sono stati correttamente repertati dai Carabinieri della compagnia di Vigevano ma sono stati otto mesi assieme in un unico sacchetto. Quindi quando ci troveremo a valutare questi esiti, dovremo vedere anche quale è la possibilità che un determinato Dna si sia trasferito da un altro reperto poi venuto a contatto.”
“Gli Obt sono tutti negativi, ma era ovvio. Si vedeva già dalle foto”, ha considerato l’avvocata Giada Bocellari, legale di Alberto Stasi. “L’unico dubbio per me è sull’impronta 10, sulle altre impronte non credo che qualcuno avesse dubbi. L’incidente probatorio su questo punto è specifico per la caratterizzazione genetica, non per la ricerca di sangue.”
Nel corso del prossimo incontro, fissato per il prossimo 4 luglio, verrà analizzata una dozzina di provette, contenenti, tra l’altro il tampone eseguito sulla vittima.

“Il problema sono i giornalisti”
Nel frattempo, i mass media hanno recuperato, dal materiale della prima indagine, una ulteriore intercettazione – dopo quelle diffuse alcune settimane fa – relativa a un colloquio telefonico tra Stefania Cappa, una delle cugine di Chiara, e il padre, l’avvocato Ermanno Cappa.
Vi ha provveduto, questa volta, la trasmissione Quarta Repubblica, rendendo nota una conversazione risalente al 28 settembre 2007, che coglie il modo in cui Stefania ha accolto la notizia della scarcerazione di Alberto Stasi, all’epoca indagato per l’omicidio.
Ermanno Cappa: “Pronto.”
Stefania Cappa: “Ciao Bombo.”
E: “Ci sono tutti i giornalisti perché mi ha detto Gianni che hanno scarcerato Stasi.”
S: “No!”
E: “Sì, e allora ci sono tutti i giornalisti che rompono dalla zia Rita, da tutti. Quindi state lontano dai giornalisti, con educazione, ma lontano.”
S: “Ma proprio scarcerato?”
E: “Sì.”
S: “Ma vaff*****o.”
E: “Ma no vabbè vaff*****o, cosa c’entra?”
S: “Ma scarcerato agli arresti domiciliari o proprio…”
E: “No, no scarcerato.”
S: “Ma porca miseria.”
E: “E… Quindi adesso ne parlo con Gianni. In questo momento non ti deve interessare. Insomma, povera famiglia, povero ragazzo se, se, se… Non è questo il problema, il problema sono i giornalisti. Capito?”
S: “No, no, no. Ok.”
E: “Si riscatenano, nel paese è pieno di giornalisti.”
Come “leggere” questo dialogo? Qualcuno ha scritto che risulta significativo per lo “spaccato emotivo e familiare che restituisce”. Considerato in tale prospettiva, al di fuori delle esigenze investigative che avevano giustificato l’intercettazione, si può di certo affermare che esso documenti, in modo assai efficace, il clima teso e inquieto che si respirava in quei mesi a Garlasco. E che la nuova indagine, nel ripercorrere i meandri di una vicenda ancora oscura e misteriosa, sta inevitabilmente rievocando.
Quattromila accessi
Altro dato emerso a ridosso delle operazioni dell’incidente probatorio, che i mass media non hanno mancato di diffondere con la massima sollecitudine. Nel 2007, leggiamo sul settimanale Giallo, il computer di Chiara Poggi avrebbe registrato migliaia di accessi a siti porno. La maggior parte dei quali negli orari in cui la stessa Chiara si trovava al lavoro. Dunque, chi ha utilizzato il computer della giovane, un fisso DeX, peraltro accedendo alla rete attraverso il suo profilo? Ipotesi prospettata: si sarebbe trattato di Marco Poggi, il fratello della vittima, e dell’amico Andrea Sempio.
“Io e i miei amici andavamo nella stanza di Chiara a usare il computer”, ha dichiarato del resto Marco. “Io andavo in camera di Chiara e usavo il mouse e la tastiera”, ha confermato Andrea Sempio. E, rimarcano gli organi di stampa che hanno ripreso la notizia, in quelle circostanze i due non avrebbero certo giocato con i videogiochi, perché la console si trovava nella taverna. Incrociando poi i dati sugli accessi in questione con la cronologia accademica di Marco Poggi, focalizzata su siti d’ingegneria, il sospetto, si legge, potrebbe consolidarsi.
L’esorbitante numero di visite a siti di carattere pornografico sarebbe stato accertato da un esame specialistico che, secondo MowMag, reca la firma dell’allora comandante del Ris, Luciano Garofano. Nell’ambito della relazione tecnica in questione, i dati si trovano nell’allegato “05-3 – Siti più visitati”: tra questi, due dedicati alle “donne mature”, dettaglio che sembra aver colpito i giornalisti in modo particolare.
A quanto sembra, Chiara si era accorta di tutto questo e ne era rimasta infastidita. “Mi aveva segnalato alcune navigazioni verso siti a luci rosse che aveva trovato nel pc”, ha dichiarato la madre, Rita Preda. Certamente degli accessi inopportuni, anche perché, in quel computer, Chiara custodiva dati riservati. Le ricerche su temi come la pedofilia, l’anoressia e i delitti irrisolti, nonché tre video intimi girati con il fidanzato Alberto Stasi e foto private che la ritraevano in lingerie.
Files salvati in una cartella denominata “Tatina” che, secondo la famiglia, sarebbero stati comunque inaccessibili perché protetti da password. Ma, accedendo al computer con il profilo di Chiara, qualcuno potrebbe averli comunque potuti visionare?
In ogni caso, non siamo attualmente in grado di stabilire quanto tali elementi, cui pure sono stati riservati copertine e titoloni, abbiano davvero qualcosa a che fare con il delitto, le sue motivazioni e le sue dinamiche. Da un sito che riprende la notizia: “Chiara Poggi, c’è la svolta: ‘4000 accessi, ecco il movente del delitto.’” Nientemeno.
Un giro di pedofilia?
E si torna a parlare della poco edificante vicenda che, anni dopo la morte di Chiara, ha interessato il santuario della Madonna della Bozzola. Un ricatto posto in essere da due romeni ai danni dell’allora rettore del santuario, don Gregorio Vitali, con la minaccia di diffondere filmati compromettenti a carattere sessuale con protagonista lo stesso sacerdote. Uno scandalo emerso nel 2014 e che, proprio per la sua collocazione temporale, ha indotto più d’uno a chiedersi se possa considerarsi davvero in qualche modo correlato con il delitto, avvenuto nel 2007.
Nelle scorse settimane, voci circa precedenti vicende del medesimo tenore erano invero già circolate. Ora, Dritto e Rovescio, in onda sulle reti Mediaset, ha reso noto che “gli scandali sessuali sarebbero avvenuti già nel 2006.”
Nel corso di una recente puntata della trasmissione, l’avvocato Paolo Larceri, del Foro di Pavia, ha riferito: “Si diceva che a Garlasco accadessero cose strane in merito ai minori. Posso dire che riguardavano le Bozzole. Questo però era di dominio pubblico.”
Una giornalista di Dritto e Rovescio ha quindi raccontato: “Già nel 2006 un altro parroco segnala alla diocesi di Vigevano fatti scabrosi relativi a questo santuario, gli stessi fatti che denuncerà poi ai Carabinieri di Vigevano, come dimostrano i verbali di cui siamo entrati in possesso.”
“Nell’anno 2006 un sacerdote della zona di Garlasco mi riferì particolari sconcertanti in merito alle condotte ‘immorali’ tenute da Padre Gregorio, che persino pagava alcuni uomini al fine di ottenere da loro prestazioni sessuali”, si legge nelle carte esibite in trasmissione.
La trasmissione Mediaset ha poi menzionato “un caso grave di pedofilia”, avvenuto “sempre nel 2006 e sempre in questa zona.”
“Si trattava di un soggetto che deteneva questo materiale di tipo pedopornografico. Io mi sono fatto proprio un’idea mia e cioè che questo materiale fosse oggetto di vendita”, ha spiegato l’avvocato Larceri.
“Si può ipotizzare una presunta rete di pedofili?”, gli è stato chiesto.
“È abbastanza evidente che il sistema era radicato e tollerato”, ha risposto il legale.
La cronista di Dritto e Rovescio ha fatto, del resto, riferimento anche a un ulteriore episodio, verificatosi dopo l’omicidio di Chiara Poggi: “Nel 2015, un anno dopo lo scandalo della Bozzola, un altro prete indagato per adescamento di minori sarebbe stato ricattato da un uomo con cui avrebbe avuto una relazione.”
A sostegno di ciò, è stato mostrato in esclusiva un foglio su cui era vergato: “Ho bisogno di 12000 euro per andarmene e sono pronto a tutto, anche a costo di fare uno scandalo.”
Non possono non tornare alle mente le ricerche via Internet effettuate da Chiara Poggi prima di morire. Uno dei difensori dell’attuale indagato, in tema di movente, ha affermato tempo fa di aver “sognato” che il delitto sia maturato proprio a ridosso dei giri di pedofilia esistenti a Garlasco e dintorni. Come dobbiamo interpretare una affermazione del genere? È davvero credibile? E a tale scenario devono ascriversi anche i misteriosi “suicidi” registratisi nella zona dopo la morte di Chiara? Tutto sembra confondersi, avvolto in un impenetrabile banco di nebbia. Auspichiamo che il prosieguo dell’indagine approdi infine a un punto fermo.


